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Meditazioni sul Purgatorio
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14° Giorno: LA CARITÀ AI DEFUNTI UTILE ANCHE AI VIVI
La carità verso i defunti non è soltanto un pensiero santo,
in quanto giova ad essi, ma è ancora un pensiero salutare per
noi per i molti beni che esso ci apporta.
L’opera del suffragio in se stessa è eccellente e ciò è potente motivo per farla; ma non ne sono un minore stimolo i
preziosi vantaggi che noi vi troviamo. Da una parte essi consistono nelle grazie materiali che riceviamo, a cambio della
nostra beneficenza; dall’altra, nelle grazie spirituali che vengono alla nostra anima stessa.
«Beati, dice il Salvatore nostro, i misericordiosi, perché
otterranno misericordia» (Mt 5,7). «Beato l’uomo, dice lo
Spirito Santo, che si ricorda dell’indigente e del povero: e il
Signore lo libererà nel giorno cattivo» (Sal 40). «In verità vi
dico: tutte le volte che esercitate misericordia col minimo dei
miei fratelli, a me l’avete fatto» (Mt 15,40). «Siavi misericordioso il Signore come voi lo foste coi defunti» (Rut 1,8).
Queste diverse parole, nel loro senso più elevato, s’intendono
anche della carità verso i defunti.
«Tutto ciò che si offre a Dio per carità ai morti, si cambia
in merito per noi, e dopo morte ne ritroviamo il centuplo»,
dice S. Ambrogio nel suo libro degli Officii.
Si può dire che il sentimento della Chiesa, dei suoi Dottori e dei suoi
Santi, può esprimersi con questa sola frase: Quanto fate per i
morti lo fate nel modo più eccellente per voi stessi. La ragione ne è che questa opera di misericordia vi sarà resa al centuplo, nel giorno in cui voi stessi sarete nel bisogno.
Qui si può applicare la celebre parola di San Giovanni di
Dio,
quando agli abitanti di Granada domandò di far l’elemosina per loro stessi. Quel caritatevole Santo, per soccorrere ai bisogni degli infermi che manteneva nell’ospedale, per
correva le contrade di Granada, gridando: «Fate elemosina,
miei fratelli, fate elemosina per voi medesimi». Si facevano
meraviglia di questa novella formola, essendo assuefatti a
udir dire: l’elemosina per amor di Dio. «Perché, si diceva al
Santo, chiedete elemosina per amor di noi stessi?». «Perché,
rispondeva, è il gran mezzo di riscattare i nostri peccati, se
condo quella parola del Profeta: “Con l’elemosina riscatta i
tuoi peccati e le tue iniquità con la misericordia verso i poveri” (Dan 4,24): Facendo elemosina curate lo stesso vostro
interesse, poiché con essa vi sottraete ai più terribili castighi
meritati dai vostri peccati». Non si dovrà dire che tutto ciò
sia vero, [riferito] all’elemosina che facciamo alle povere
anime del Purgatorio? L’aiutarle è un preservare noi stessi da
quelle terribili espiazioni, dalle quali altrimenti non possiamo
sfuggire. Dunque, con San Giovanni di Dio possiamo gridare: «Fate loro l’elemosina dei vostri suffragi, soccorretele
per amore di voi stessi».
La beneficenza verso i poveri è contraccambiata e ricompensata da ogni sorta di grazie, la cui sorgente è la riconoscenza delle anime e quella di Gesù Cristo, che considera
come fatto a se stesso il bene che si fa alle anime.
Non è difficile il comprendere la riconoscenza delle anime. Se aveste liberato un prigioniero dalla più dura schiavitù, non sarebbe egli riconoscente per un tal beneficio? Quando l’imperatore Carlo V
s’impadronì della città di Tunisi,
mise in libertà ventimila schiavi cristiani, [che] prima della
sua vittoria [erano] ridotti alla più spaventevole condizione.
Pieni di riconoscenza pel loro benefattore, benedicendolo, lo
circondavano, cantando le sue lodi.
Se ad un infermo disperato rendeste la sanità, la fortuna ad
un infelice caduto nell’indigenza, non raccogliereste forse la
loro gratitudine e le loro benedizioni? E sentiranno diversamente sì sante e sì buone anime riguardo ai loro benefattori, esse, la cui prigionia, le cui sofferenze furono assai più
dure di ogni altra prigionia, indigenza e malattia terrena? Soprattutto vengono loro incontro nel momento della morte, per
proteggerli, accompagnarli e introdurli nella eterna requie.
S. Margherita da Cortona ebbe grande affetto per i morti.
Riferisce la storia che alla sua morte vide presso di sé una
moltitudine di anime che aveva liberate e che venivano a
farle corteggio per condurla in Paradiso.
Una santa persona di Città di Castello, rapita in spirito nel
momento in cui Margherita abbandonava la terra, vide la
beata sua anima in mezzo a quel celeste stuolo.
S. Filippo Neri
per le anime del Purgatorio aveva una tenerissima devozione, e la sua inclinazione lo portava soprattutto a pregare per quelle di cui aveva diretto la coscienza. Si
credeva più obbligato verso di esse, perché la Provvidenza le
aveva particolarmente a lui affidate. A suo modo di vedere,
la sua carità doveva seguirle fino alla loro intera purificazione ed alla loro entrata nella gloria. Assicurava ugualmente
che per loro mezzo aveva ricevuto molte grazie. Dopo la sua morte, un Padre Francescano pregava nella cappella ove era
no stati deposti i suoi avanzi,
quando gli apparve il Santo
circondato di gloria, in mezzo ad un brillante corteggio. Il
religioso, guadagnato dall’aria di bontà e di famigliarità con
la quale il Santo lo guardava, gli domandò chi erano quei
numerosi beati che lo circondavano. Gli rispose il Santo essere le anime di quelli ai quali era stato utile nella sua vita
mortale, e che coi suoi suffragi aveva liberati dal Purgatorio.
Aggiunse che erano venute ad incontrarlo dalla sua uscita dal
mondo, per introdurlo alla loro volta nella celeste Gerusalemme.
«Non v’è dubbio, dice il pio Padre Rossignoli, che i primi favori che le anime dopo la loro entrata nella gloria, domandano alla divina misericordia, sian per quelli che loro
aprirono le porte del Paradiso, e non mancheranno di pregare per essi tutte le volte che li vedranno in qualche bisogno o pericolo, nei rovesci di fortuna, nelle malattie, negli accidenti di ogni genere: saranno i loro protettori. Crescerà il loro zelo quando si tratterà degli interessi dell’anima, li aiuteranno potentemente a vincere le tentazioni, a praticare buone opere, a morire cristianamente, a sottrarsi alle espiazioni dell’altra vita».
Il Card. Baronio
racconta che una persona assai caritatevole verso le anime, si trovò in punto di morte fra vive angoscie. Seri timori le insinuò lo spirito delle tenebre, ed alla sua
anima, velando la dolce luce delle divine misericordie, tentava gettarla nella disperazione; quando tutto ad un tratto sembrò aprirsi davanti ai suoi occhi il Cielo e discenderne migliaia di difensori, che volarono in suo soccorso, rianimando la sua confidenza e promettendole la vittoria. Confortata da tale inatteso aiuto, domandò ai suoi difensori chi erano:
«Siamo, risposero, le anime che i vostri suffragi liberarono
dal Purgatorio; alla nostra volta veniamo ad aiutarvi e ben
presto vi condurremo in Paradiso». A quelle consolanti parole, l’infermo si sentì tutto cambiato e ripieno della più dolce confidenza. Poco tempo dopo spirò con la serenità sulla
fronte e con l’allegrezza in cuore.
Per ben comprendere la riconoscenza delle anime, dovremmo avere una più chiara cognizione del beneficio che ricevono dai loro benefattori; dovremmo sapere cosa è l’entrata nel Cielo. Chi ci dirà, scrive l’Abate Louvet,
le gioie di
quell’ora benedetta? Rappresentatevi la felicità di un esiliato
che finalmente rientra in patria. Durante i giorni del Terrore,
un povero Sacerdote della Vandea sfuggì per miracolo
dalla morte e dovette emigrare per salvarsi. Quando alla
Chiesa e alla Francia fu resa la pace, si affrettò a rientrare
nella sua Parrocchia. In quel giorno il villaggio s’era messo a
festa, tutti i parrocchiani erano venuti incontro al loro pastore
e padre; suonavano festosamente i sacri bronzi e la chiesa era
ornata come nelle grandi solennità. Il vecchio curato sorridendo s’avanzava in mezzo ai suoi figli: ma quando dinanzi
a lui si aprirono le porte del luogo santo, quando vide quell’altare, che per sì lungo tempo aveva rallegrato i suoi giorni,
il cuore gli si spezzò in petto, troppo debole per sostenere tanta gioia. Con voce tremante intonò il «Te Deum», ma era il «Nunc dimittis» della sacerdotale sua vita: cadde ai
piedi dello stesso altare. L’esiliato non aveva avuto la forza di sopportare i gaudi del ritorno.
Se tali sono le gioie del ritorno dall’esilio della patria terrestre, chi ci dirà quella dell’entrata nel Cielo, la vera patria
delle nostre anime? E come meravigliarci della riconoscenza
dei beati che vi introducemmo?
Il seguente fatto è riferito dall’Abate Postel,
traduttore
del P. Rossignoli. È avvenuto a Parigi verso l’anno 1827, e
l’inserì nelle Meraviglie del Purgatorio, sotto il numero 51.
Una povera serva, cristianamente educata nel suo villaggio, aveva adottato la santa pratica di fare celebrare ogni
mese, coi tenui risparmi, una Messa per le anime del Purgatorio. Condotta dai suoi padroni nella capitale, non vi
mancò una sola volta, facendosi inoltre una legge d’assistere ella stessa al divin Sacrificio e di unire le sue preghiere a quelle del Sacerdote, specialmente a favore dell’anima,
la cui espiazione per essere terminata non aveva bisogno che di poca cosa.
Dio ben presto la provò con una lunga malattia che, non soltanto la fece crudelmente patire, ma le fece perdere il posto ed esaurire gli ultimi suoi mezzi. Il giorno in cui poté
uscire dall’ospedale, il suo denaro era ridotto a venti soldi.
Dopo d’aver indirizzato al Cielo una preghiera piena di con
fidenza, si mise in cerca di un posto. Le si era parlato di un ufficio di collocamento all’estremità della città, e vi si recava, quando trovandosi sulla sua strada la chiesa di S. Eustachio, vi entrò. La vista di un Sacerdote all’altare le ricordò che in quel mese aveva mancato all’ordinaria sua Messa dei morti, e che quel giorno era precisamente quello in cui da
molti anni si era procurata quella consolazione. Ma come fa re? Se si privava della sua ultima lira non le restava nemmeno con che saziar la fame. Fu un combattimento fra la sua divozione e l’umana prudenza. Vinse la divozione. «Alla fin fine, disse a se stessa, il buon Dio vede che è per lui, e non
mi abbandonerà!». Entra nella sacrestia, fa la sua offerta per una Messa, poscia col solito fervore vi assiste.
Qualche momento dopo, piena d’inquietudine, come ben
si può comprendere, continuava il suo viaggio. Assolutamente priva di tutto, che fare? Era in questi pensieri, quando
un giovane pallido, d’un distinto contegno, a lei s’avvicina e
le dice: «Cercate un posto, non è vero?». «Sì, signore». «Ebbene, andate nella tal via, numero tale, in casa della Signora
X; credo che con lei vi acconcierete e vi troverete bene».
Dette queste parole, scomparve tra la folla dei passeggieri,
senza aspettare i ringraziamenti che gli indirizzava la povera
giovane.
Si fa indicare la via, riconosce il numero, e sale all’appartamento. Ne usciva una domestica, che teneva sotto il braccio
un fardello e mormorava parole di lamento e di collera. «C’è
la signora?» chiese la nuova venuta. «Forse sì, forse no, rispose l’altra: che importa a me? Aprirà la stessa signora, se
le piace. Io non ho più niente a fare con lei. Addio», e discende le scale.
Tremando, la povera giovane suona, e una voce soave le
dice di entrare. Si trova di fronte ad una dama avanzata in
età, di venerabile aspetto, che la incoraggia ad esporre la sua
domanda, «Signora, disse la serva, seppi questa mattina che
abbisogna di una cameriera, ed io le offro i miei servigi: fui
assicurata che sarei stata accolta con bontà». «Ma, mia cara
figlia, quanto dite è cosa ben straordinaria. Questa mattina
avevo proprio bisogno di qualcuno: solo da mezz’ora licenziai una insolente domestica, e, tranne me e lei, nessuno al
mondo sa la cosa. Chi dunque vi manda?». «È un signore, un
giovane signore che incontrai per strada, che per questo si
fermò, e ne benedico Iddio, abbisognando proprio di trovar
un posto oggi, non avendo un soldo».
La vecchia signora non poteva comprendere chi fosse
quel personaggio: si perdeva in congetture, quando la serva,
levando gli occhi sopra un mobile della piccola sala, scorse
un ritratto. «Ecco, signora, disse, non cercate più oltre: ecco
esattamente la figura del giovane che mi parlò: vengo da
parte sua».
A quelle parole, la dama manda un grido e sembra vicina
a perdere la cognizione. Si fa ridire tutta quella storia, quella della devozione alle anime del Purgatorio, della Messa
del mattino, dell’incontro con l’estraneo; poscia gettandosi
al collo della povera donna, con effusione l’abbraccia e le
dice: «Tu non mi sarai serva, ma da questo punto sei mia
figlia! È mio figlio, l’unico mio figlio che hai veduto: il mio
figlio morto da due anni, che ti è debitore della sua liberazione, non ne posso dubitare, a cui Dio permise d’inviarti
qui. Sii dunque benedetta, e d’ora innanzi preghiamo assieme per tutti quelli che soffrono prima di entrare nella
beata eternità».
Noi felici, se ci riuscisse di anticipare ad un’anima sola il
possesso della beata eternità! Quale copia, quale abbondanza
di grazie non avremmo motivo di sperare dalla loro protezione? Non temiamo che quelle anime pervenute all’eterno riposo, si dimentichino di quelli che loro procurarono le gioie
eterne del Cielo. Tolga Iddio che sospetto sì reo e sì ingiurioso verso le anime sante e già beate, si annidi in alcuno di noi!
Anzi, siccome già il giovanetto Tobia, ritornato dal lungo
viaggio alla casa paterna, dati appena i primi amplessi ai cari
genitori: «E in qual modo, disse al venerando vecchio genitore, potremo ringraziare il fedelissimo mio condottiero per
tanti benefici che egli mi ha fatto? Qual cosa mai vi potrà esser degna dei suoi benefici? Mi condusse e ricondusse sano,
e a te fece vedere lo splendore del firmamento e in grazia di
lui noi siamo ricolmi di ogni bene... Ma insisto da te, o padre
mio, acciocché lo preghi tu se vuole degnarsi di ricevere per
sé la metà di tutte quelle cose che abbiamo portate» [cf. Tb
12,1-4].
Così io ben m’avviso, che ogni qual volta, pel valore dei
nostri suffragi, sale un’anima dal Purgatorio al Cielo, essa,
appena posti i piedi su quelle beate soglie, tocca dai senti
menti di gratitudine in lei tenerissimi, dica anch’ella: «Qual
ricompensa, o Signore, potrò mai rendere io a chi mi procacciò un bene tanto grande come Voi, Dio mio? Ah, Signore!
io gemeva in quel lungo esilio, e come era mai duro! L’anima mia si struggeva di ardente sete di unirsi a Voi, o mio
Dio! Essa languiva di amore e di desiderio di presentarsi a
Voi, e vedere il vostro bel volto, ma indissolubili ritorte mi
tenevano vincolata lungi dagli amabili vostri tabernacoli;
giorno e notte scorrevano dai miei occhi le lacrime, prorompevano dal mio petto infuocato sospiri, o Dio delle virtù! Or
bene quegli aprì le porte del carcere mio, quegli spense la
mia sete, quegli spezzò i gravi ceppi, terse il mio amaro
pianto, quegli diede fine ai miei dolenti gemiti, quegli mi
trasse dal penoso esilio e mi porse le ali per volare ad unirmi
a Voi. Scendano adunque sopra di lui le vostre misericordie,
e trovi anch’esso nel vostro seno centuplicata quella pietà
che mi usò. Il vostro lume gli serva di guida, sicché non tra
vii; di sostegno la vostra mano, sicché non cada; di conforto
la vostra voce, sicché non venga meno. Steso sia a sua difesa il vostro braccio, all’ombra di cui, vincitore del demonio,
del mondo e di se stesso, possa anch’esso un bel giorno per
venire al Monte Santo».
Questa dottrina si trova confermata da una moltitudine di
particolari rivelazioni e dalla pratica di sante persone. Già di
cemmo che santa Brigida, nelle sue estasi, udì parecchie di
quelle anime dire ad alta voce: «Signore, Dio onnipotente,
rendete il centuplo a quelli che ci assistono colle loro preghiere e che vi offrono buone opere per farci godere della luce della vostra divinità».
Si legge nella vita di S. Caterina da Bologna che per le
anime del Purgatorio aveva una devozione piena di tenerezza, che per esse spesso e con fervore pregava; che ad esse si
raccomandava con grande confidenza negli spirituali suoi
bisogni, ed induceva altri a farlo, dicendo loro: «Quando
voglio ottenere qualche grazia dal nostro Padre del Cielo,
ricorro alle anime che sono ritenute nel Purgatorio, le supplico di presentare alla divinaMaestà la mia domanda in loro nome e provo che per la loro interposizione sono esaudita».
Il Santo Curato d’Ars diceva ad un Ecclesiastico che lo consultava: «Oh, se si sapesse quanto grande è il potere delle
buone anime del Purgatorio sul Cuore di Dio! e se bene si
conoscessero tutte le grazie che per loro intercessione possiamo ottenere, non sarebbero tanto dimenticate! Bisogna per esse pregar molto, onde esse molto preghino per noi!».
PRATICA: Oggi ripassate per mezzo di ritratti, o annotazioni, od
a memoria, il nome di quanti Defunti di vostra famiglia, parentela,
amicizia, conoscenza potete ricordarvi, e interrogatevi: Ho adempito
verso di essi tutti i miei doveri di giustizia, o carità, o amicizia?
GIACULATORIA: O dolcissimo Gesù, per le ineffabili sofferenze
che avete sopportate nella incoronazione di spine, abbiate pietà
delle anime Purganti. Abbiate pietà, o Signore.
FRUTTO
S. Michele, angelo dell’agonia
«Nel cielo nessun Angelo sorpassa od eguaglia la gloria vostra,
S. Michele Arcangelo, che abbatteste l’orgoglio di Satana. Dio vi
ama ed è contento di vedervi glorificato.
La S. Chiesa dice nella sua Messa dei defunti: «Che il vessilli
fero S. Michele li rappresenti e li introduca nella luce santa».
Voi, o S. Michele, compite l’onorevole ufficio di presentare a
Gesù Cristo, nostro giudice, le anime che muoiono in grazia di
Dio.
Proteggeteci dunque, o nostro Santo Arcangelo, e mediante la
vostra protezione, rendete l’anima mia degna di essere da Voi pre
sentata a Gesù Cristo mio giudice, rivestita della grazia divina, al
lorché sarà arrivato il giorno della mia morte».
La Santa Chiesa prega ancora S. Michele, a nome di tutti i fe
deli, di difenderci al momento della morte contro i demoni; di far
ci trionfare dei loro assalti e di custodirci contro ogni pericolo di
perdizione.
«S. Michele Arcangelo, difendeteci nel grande combattimento;
guardateci, affinché non periamo nel terribile giudizio».
«Ah! nostro santo Arcangelo!come sono numerose le armi
dell’arsenale diabolico dirette alla mia perdizione; queste armi sono i miei peccati; per il loro ricordo Satana si propone di precipitarmi nella disperazione.
O Voi che avete abbattuto Satana, Voi che l’avete cacciato dal
Cielo, e trionfato su di lui per me, cacciatelo molto lontano da me
nel momento della mia morte. Io Vi prego per l’amore di questo
Dio che vi ama tanto e che Voi amate sopra ogni cosa.
O Maria, Regina del Cielo, Regina degli Angeli, dite a S. Michele di assistermi nel momento della mia morte».
L’ufficio attribuito a S. Michele di proteggere i moribondi è un
privilegio secolare e riconosciuto da tutti. S. Tommaso, S. Bellarmino, Suarez e S. Alfonso de’ Liguori dichiarano che S. Michele
ha da Dio il compito di presiedere alla morte dei cristiani; che egli
libera i suoi devoti dalle astuzie del demonio e loro dona la pace e
la gloria eterna.
Tale è pure il pensiero della Chiesa. Essa dice che Dio ha posto
S. Michele protettore di tutte le anime perché le guidi al Cielo.
(Ufficio Liturgico).
Nell’amministrazione delle sante Unzioni, essa domanda a Dio di
mandare dal Cielo il santo Angelo per governare, assistere, visitare
e difendere il malato. Nella raccomandazione dell’anima ella supplica Dio di inviare il suo Arcangelo Michele a ricevere il suo servo.
Infine, mette sulle nostre labbra, nella liturgia, queste significative preghiere: «S. Michele, difendeteci nel combattimento, affinché non periamo nel terribile giudizio. Che il vessillifero S. Michele le introduca nella celeste luce».
Felice dunque colui che ogni giorno avrà pregato San Michele.
Nella sua ultima ora, quando dovrà vincere il supremo combatti
mento che decide l’eternità, il potente Arcangelo l’assisterà. Esso
stesso dichiarò che Satana non avrebbe nessun potere sopra i suoi
servi e i suoi protetti.
Domandare, per l’intercessione di San Michele, la grazia di una
buona morte.
PREGHIERA
Dio onnipotente ed eterno, che per un prodigio di bontà e di
misericordia per la salute comune degli uomini, avete eletto il gloriosissimo San Michele principe della vostra Chiesa, rendeteci degni, ve ne preghiamo, di essere liberati per la sua amorosa protezione, da tutti i nostri nemici, affinché al momento della nostra morte nessun di essi possa inquietarci; ma che ci sia dato di essere
introdotti, per mezzo di lui, alla presenza della vostra augusta
Maestà. Così sia.
Frutto
S. Michele, angelo dell’agonia
«Nel cielo nessun Angelo sorpassa od eguaglia la gloria vostra,
S. Michele Arcangelo, che abbatteste l’orgoglio di Satana. Dio vi
ama ed è contento di vedervi glorificato.
La S. Chiesa dice nella sua Messa dei defunti: «Che il vessillifero S. Michele li rappresenti e li introduca nella luce santa».
Voi, o S. Michele, compite l’onorevole ufficio di presentare a
Gesù Cristo, nostro giudice, le anime che muoiono in grazia di
Dio.
Proteggeteci dunque, o nostro Santo Arcangelo, e mediante la
vostra protezione, rendete l’anima mia degna di essere da Voi presentata a Gesù Cristo mio giudice, rivestita della grazia divina, allorché sarà arrivato il giorno della mia morte».
La Santa Chiesa prega ancora S. Michele, a nome di tutti i fedeli, di difenderci al momento della morte contro i demoni; di farci trionfare dei loro assalti e di custodirci contro ogni pericolo di perdizione.
«S. Michele Arcangelo, difendeteci nel grande combattimento;
guardateci, affinché non periamo nel terribile giudizio».
«Ah! nostro santo Arcangelo!come sono numerose le armi
dell’arsenale diabolico dirette alla mia perdizione; queste armi sono i miei peccati; per il loro ricordo Satana si propone di precipitarmi nella disperazione.
O Voi che avete abbattuto Satana, Voi che l’avete cacciato dal
Cielo, e trionfato su di lui per me, cacciatelo molto lontano da me
nel momento della mia morte. Io Vi prego per l’amore di questo
Dio che vi ama tanto e che Voi amate sopra ogni cosa.
O Maria, Regina del Cielo, Regina degli Angeli, dite a S. Michele di assistermi nel momento della mia morte».
L’ufficio attribuito a S. Michele di proteggere i moribondi è un
privilegio secolare e riconosciuto da tutti. S. Tommaso, S. Bellarmino, Suarez e S. Alfonso de’ Liguori dichiarano che S. Michele
ha da Dio il compito di presiedere alla morte dei cristiani; che egli
libera i suoi devoti dalle astuzie del demonio e loro dona la pace e la gloria eterna.
Tale è pure il pensiero della Chiesa. Essa dice che Dio ha posto
S. Michele protettore di tutte le anime perché le guidi al Cielo.
(Ufficio Liturgico).
Nell’amministrazione delle sante Unzioni, essa domanda a Dio di
mandare dal Cielo il santo Angelo per governare, assistere, visitare
e difendere il malato. Nella raccomandazione dell’anima ella supplica Dio di inviare il suo Arcangelo Michele a ricevere il suo servo.
Infine, mette sulle nostre labbra, nella liturgia, queste significa
tive preghiere: «S. Michele, difendeteci nel combattimento, affinché non periamo nel terribile giudizio. Che il vessillifero S. Michele le introduca nella celeste luce».
Felice dunque colui che ogni giorno avrà pregato San Michele.
Nella sua ultima ora, quando dovrà vincere il supremo combattimento che decide l’eternità, il potente Arcangelo l’assisterà. Esso
stesso dichiarò che Satana non avrebbe nessun potere sopra i suoi
servi e i suoi protetti.
Domandare, per l’intercessione di San Michele, la grazia di una
buona morte.
PREGHIERA
Dio onnipotente ed eterno, che per un prodigio di bontà e di
misericordia per la salute comune degli uomini, avete eletto il gloriosissimo San Michele principe della vostra Chiesa, rendeteci degni, ve ne preghiamo, di essere liberati per la sua amorosa protezione, da tutti i nostri nemici, affinché al momento della nostra morte nessun di essi possa inquietarci; ma che ci sia dato di essere
introdotti, per mezzo di lui, alla presenza della vostra augusta Maestà. Così sia.
Per i nostri defunti. Del Beato Giacomo Alberione